The Strange Flowers: musica globale

di Roberto Pati –

The Strange Flowers, storico gruppo rock di Pisa guidato da Michele Marinò, chitarra e voce, di Martina Franca. Il disco, che ha come etichetta Area Pirata, vede i tre componenti fondatori, oltre a Marinò l’altro chitarrista Giovanni Bruno e il bassista Alessandro Pardini, insieme al batterista Valerio Bartolini. In pieno Lockdown, hanno pubblicato il loro ottavo album, Songs for imaginary movies e include tredici canzoni. Per il momento è stato rilasciato solo su digitale perché non è stato ovviamente possibile fare arrivare i cd e i dischi lp ai negozi che sono chiusi. La band ha però annunciato la pubblicazione anche sui supporti fisici non appena sarà possibile.

Fondati nel 1987, arrivano a noi dopo periodi di stop e avvicendamenti vari. Da sempre la band toscana si è mossa lungo un ampio spettro stilistico che va dalla psichedelia fino al pop, passando per il garage.

In questo loro ottavo lavoro Songs for imaginary movies, si traccia una decalogo di quello che è stato il loro percorso musicale che li ha portati ad oggi.

Un album con il giusto volume e i giusti volumi, da ascoltare con calma per lasciarsene avvolgere, quasi al limite del concept. Non vi nascondo che il suo primo ascolto mi ha lasciato quasi indifferente, poi dal secondo, si è insinuato lentamente in me straripando. Un suono di sintesi che non lascia spazio ad equivoci, come non disturbano gli inevitabili richiami stilistici frutto di duro lavoro e inconsce influenze immagazzinate durante il lungo percorso.

La prima traccia Song of the Jungle: ci permette di tuffarci a capofitto in un album da ascoltare tutto di un fiato. Corposa e asciutta abbarbicata a un ritmo da ipnosi tanto caro a QOTSA riscontrabile anche in Heal evidenzia da subito l’ottima forma dei nostri. Blue invece parte in sordina con una chitarra acuta che circoscrive la voce salmodiante, prima di trovare un ritmo fluido come il miele, una costruzione ariosa riempita di chitarre di chiara matrice new wave. In A little Pain, B.B. Runs e  The girl whit theMoon in her Eyes inizia a farsi pregnante un aria di psichedelia morbida e altalenante che richiama Stipe e soci prima maniera. Cure Me e Children of the Drain, potenziali hit, se non altro per la loro orecchiabilità, che non sempre è sinonimo di fragilità, si lascia benevolmente influenzare da rivoli di Oasis, sia nella costruzione asciutta e sinfonica che nelle liriche ariose e scandite, tipiche della band dei fratelli Gallagher. Anymore e Apocalypse invece, sono i due brani dove meglio si esprime il lato più sporco dei The Strange Flowers. Un suono che si dipana in senso compiuto per tutta la durata dell’album, senza lasciare adito a compromessi e indulgenze, accarezzando quasi sbadatamente trame folk che appaiono e scompaiono dando un aria più globale al suond. The Strange Flowers cantano il nostro tempo con un suono che del nostro tempo ha i tratti fondamentali, quelli sviluppati seguendo le orme dei maestri incontrati durante un percorso artistico pregnante e senza compromessi. Un suond inconfondibile, grazie a suoni di chitarra curati e puliti, a una voce che rinuncia all’estetica per mettersi al servizio del tappeto sonoro arricchito da una ritmica sontuosa, frutto anche di una percezione dei tempi non comune.

Roberto Pati