Progressive Italia: Reale Accademia di Musica

di F.G. Longo –

Ancora prima di assumere il loro nome definitivo i romani “Reale Accademia di Musica”, hanno per almeno 3/5 della formazione un palmares assai glorioso.
Di fatto, sotto il nome di Fholks, avevano già circuitato per quattro anni nella capitale, partecipando a numerosi Festival Pop (Caracalla, Gualdo, Viareggio), facendo da spalla nientemeno che a Jimi Hendrix durante la sua tournèe italiana e infine, pubblicando un 45 giri prodotto da Maurizio Vandelli dell’Equipe 84 (traduzione italiana del successo degli Iron Butterfly “Soldier in our town”. In Italiano: “Mi scorri nelle vene”).
La trasformazione da “Fholks” a “Reale accademia di musica” avviene nel 1971 quando il batterista Ruggero Stefani (proveniente dal gruppo beat Le Pupille) abbandona il gruppo per trasferirsi nell’Uovo di Colombo e il chitarrista Sponzilli fa lo stesso per essere sostituito dall’ex Esperienze e Banco, Nicola Agrimi.

Così stabilizzata (Cabanes, TroIani, Agrimi, Pavone e Stefani), la nuova band può finalmente procedere alla lavorazione del suo primo album omonimo: il quintetto si ritira a comporre in quel di Orvieto e il disco vede finalmente la luce nel 1972 per l’etichetta Ricordi, sempre sotto la guida dello stesso Vandelli.
Il lavoro, non particolarmente originale è un mix di atmosfere molto soavi e dilatate il cui inizio vede regnare incontrastate per almeno otto minut le tastiere di Troiani e la conturbante voce del cantante Cabanes.

La piena orchestra arriva solo a metà del brano “Il mattino” dove una serie di riffs di tastiera molto dinamici conducono tutto il resto della band in una piacevole galoppata in stile prog-rock.
Fin qui, comunque, anche le parti più dure non escludono mai completamente un retrogusto bucolico in stile underground , perennemente contrappuntato da un pianoforte molto evidente e a tratti leggermente invasivo.

Dopo una piacevolissima pop song di stampo commerciale (“Nessuno sa”) in cui però l’originalità del gruppo rasenta lo zero, si accede al lato B dove la tetra “Padre” non solo non risolleva le sorti del lavoro, ma anzi, lo ammorba sciorinando una scontatissima progressione discendente, già patrimonio di centinaia di canzoni blues rock. Una su tutte “Babe i’m gonna leave you” dei Led Zeppelin.

Molto più strutturata la deliziosa “Lavoro in città” che, pur se sospesa tra stilemi piuttosto desueti, presenta un bel cambio ritmico tra il rimbalzello iniziale, il ponte melodico e il finale jazzato.
Termina il disco la dura “Vertigine” che per dinamica, arrangiamenti ed esecuzione può essere considerato a pieno titolo il miglior brano del disco.
Il tutto però, chiudendo un occhio su reiterate e neanche troppo occasionali somiglianze con certi lavori dei primi Genesis.

In sostanza “Reale accademia di musica” è da considerarsi un album piacevolissimo, particolarmente ben suonato e prodotto con raffinatissime tecniche di registrazione, ma che spesso pecca in trasgressione, conformandosi in molte sue parti a stili già collaudati.
Da sottolineare comunque che, pur nella sua modesta singolarità, il disco riesce a restituire momenti di grande forza evocativa, slancio e passionalità che vale sicuramente la pena apprezzare ed ascoltare con attenzione.
Nell’Italia del 1972 c’era sicuramente di meglio, ma anche molto, molto peggio.