Progressive Italia: il MUSEO ROSEMBARCH

di F.G. Longo –

Cosi parlò il MUSEO ROSEMBARCH
“Una band è quello che è sul palco. Sul palco la band esercita la sua divinità, ne svela l’essenza, interagisce con il pubblico e la comunicazione è musica, legata a sentimenti di pura catarsi che diventa difficile da elencare, in fondo le reazioni sono molteplici, ma accomunate dalla stessa intenzione: ode alla musica. Band come il Museo italiano Rosenbach, nato nei lontani anni ’70, hanno disegnato magistralmente la loro storia sul palco. Ed è stato così travolgente, così viscerale, che la sua concezione del suono va oltre la freddezza e la perfezione esacerbata degli studi. Museo è una delle poche band italiane che non si è arresa alla comfort zone dello stereotipo, ha flirtato con vari aspetti, come il rock progressivo, l’hard rock e ha saputo, come pochi altri, calcare una storia d’avanguardia nel panorama rock italiano che, all’inizio 1970, è stato definito, si delineava, assorbendo influenze che venivano dall’Inghilterra come, ad esempio, la nuova musica virtuosa e progressiva, dalla giovinezza perduta, desiderosa di novità e che i musicisti, anche giovani, condividevano quella freschezza dei tempi nuovi. E così i giovani musicisti del Museo Rosenbach sono stati ispirati a costruire la loro musica. E la genesi della band risale al 1971 e inizialmente si chiamava Inaugurazione Museo Rosenbach, dalla fusione di due band sanremesi di fine anni Sessanta che si chiamavano La Quinta Strada e Il Sistema, quest’ultimo addirittura pubblicò un album dell’etichetta Mellow, tra il 1991 e il 1992 e La Quinta Strada era solo una cover band. A proposito, questa nuova band ha suonato cover per Cream, Jimi Hendrix, The Animals, Steppenwolf, tra le altre band pesanti che erano in voga nella transizione dei decenni, dando forma a quello che, in un futuro molto prossimo, sarebbe stato il Museo Rosenbach, una delle band più importanti e che avrebbe dato ai rocker italiani una traccia di quello che sarebbe stato conosciuto, anni dopo, come progressive metal. La prima formazione della band comprendeva il futuro membro dell’oscuro gruppo italiano Celeste, Leonardo Lagorio al sassofono e flauto e il cantante Walter Franco. Ma era con la formazione che aveva Enzo Merogno alla chitarra, Alberto Moreno al basso, Giancarlo Golzi alla batteria, Pit Corradi al melotron, organo Hammond e pianoforte, Stefano “Lupo” Galifi alla voce e Leonardo Lagorio al sax e flauto che sarebbe stato responsabile dalla prima registrazione del già Museo Rosenbach, con il nome cambiato, del 1972, spettacolo registrato al Park Hotel di Bordighera nell’estate di quell’anno e che è la città natale della band, città del ponente ligure.

Museo Rosenbach

“Live 72”

Tuttavia, questo materiale, oscuro e raro, ha guadagnato solo luce, è stato pubblicato solo vent’anni dopo, nel 1992, quando la casa discografica Mellow ha svelato questa perla del suono che mostra una band potente, virtuosa, intensa, personalità, mostrando tutte le la sua forza sul palcoscenico, dimostrando quanto sia competente dal vivo, sebbene le condizioni in cui è stato catturato questo spettacolo non fossero delle migliori, anche in condizioni precarie, ma anche così il Museo ha mostrato ciò che è accaduto in quell’anno immemorabile del 1972, prima di aver pubblicato nel 1973 il suo classico assoluto, l’emblematico “Zarathustra”, ma che in questo disco live sarebbero stati eseguiti, probabilmente per la prima volta per un pubblico selezionato e premiato, alcuni brani che sarebbero apparsi nel primo studio del Museo. L’album si apre, con la traccia, che apparirebbe in “Zarathustra” intitolato “Intro / Dell’eterno Ritorno” che già consegna le credenziali del grande Museo: peso, virtuosismo e un’impressionante consegna strumentale dei suoi musicisti, con passaggi ritmici incredibili, con enfasi sulla voce a lungo raggio di Galifi, oltre alla “cucina” molto tagliente, che mostra un’incredibile armonia tra il basso di Moreno e la batteria di Golzi, con la tastiera di Corradi che porta uno strato progressivo al brano. Un tipico proto metal italiano! con la tastiera Corradi portando un layer progressivo alla traccia. Un tipico proto metal italiano! con la tastiera Corradi portando un layer progressivo alla traccia. Un tipico proto metal italiano!

Museo Rosenbach – “Intro / Dell’eterno Ritorno”, live a Roma 2013

“Dopo” è più cadenzato, che alterna, con maestria, le tastiere e la chitarra in un sano duello tra gli strumenti, con assoli mozzafiato, oltre a un basso pulsante e una batteria segnata dalla caduta per il jazz rock.

Museo Rosenbach – “Dopo” (Rare and Unreleased “

Segue “Season Of The Witch / It’s A Man’s Man’s Man’s World”, una suite esuberante di quasi quindici minuti e inizia con un assolo di chitarra itinerante e inebriante con un tocco blues, con il suono dolce e ipnotizzante del pianoforte in contrasto con la voce strappato a Galifi, potente, seguito dalla “squadra strumentale di guerra”, ma che presto tornò alla morbidezza capitanata dal pianoforte e alternata a un’impronta più danzante, direbbe qualcosa anche a metà latinizzato. E in queste alternanze audaci e ritmiche, la musica ha la sua sequenza con il clou del piano, della voce, dei riff di chitarra sporchi, il basso che segue il ritmo e la batteria che investe in filoni che vanno dal blues all’hard rock. La presentazione si chiude con un’altra canzone che sarebbe apparsa nell’album del 1973 “Zarathustra”, “Della Natura” che porta l’indefettibile introduzione della tastiera “rivaleggiando” con assoli di chitarra pesanti e diretti che tacciono per la voce pulita e drammatica a prendere il comando della musica, ma che presto si unisce al tuono sonoro generato dal pugno di strumentisti . Si percepisce, o meglio, si sente, un hard progressivo molto vigoroso e ben eseguito.

Museo Rosenbach – “Della Natura”, live a Tokyo, 2013

Nello stesso anno di questo spettacolo del 1972, le tracce di “Zarathustra” erano già pronte e l’etichetta Ricordi si offrì per un contratto discografico per il Museo Rosenbach, guadagnando la luce del classico del prog italiano e mondiale, nell’aprile del 1973. Ma dopo l’uscita dell’album, la band scompare dalla scena musicale, forse a causa delle loro posizioni politiche e ideologiche, che erano comuni all’epoca, negli anni ’70, tra le rock band italiane, era un periodo di guerrafondaia politica . Il Museo Rosenbach era stato accusato di avere inclinazioni di destra per l’immagine del dittatore Benito Mussolini sulla copertina del suo debutto e per i testi ispirati a Nietzsche, che certamente lo hanno rafforzato fino alla sua fine prematura.

“Zarathustra” (1973)

Ma la band riappare negli anni 2000 con due dei suoi musicisti storici, Alberto Moreno e Giancarlo Golzi, batterista dei Matia Bazar scomparso qualche anno fa pubblicando nel 2000 l’album “Exit” e subito dopo, nel 2012, lo “Zarathustra Live in Studio”, con l’illustre vocal di Galifi. Poi finalmente esce al mondo il terzo album in studio del Museo Rosenbach, l’eccellente “Barbarica” del 2013. La band è forte in azione e offre al suo pubblico il suo potente calibro sul palco e “Live 72” è stato il calcio d’inizio della conferma dei loro successi dal vivo. E abbi una lunga vita!