luigi tenco: vedrai, vedrai

di F.G. Longo –

Uno dei tanti capolavori di Luigi Tenco – Vedrai Vedrai

Quando negli occhi di chi ti ama leggi e impari la tua inadeguatezza. Quando riconosci amaramente le tue mancanze, il non essere all’altezza del sogno fatto assieme. Quando il dialogo diventa doloroso, di fronte a una tenerezza che sopravvive solo nei rapporti speciali, unici.


“Vedrai vedrai”, canta Tenco, canta di un luogo scomodo, ma conosciuto a molti. Arriva, potente e amaro, a chi almeno una volta non si è sentito in grado di soddisfare le aspettative della persona amata, a chi vi ha trovato riflesse le troppe promesse non mantenute. La sua cifra stilistica è creare vicinanza immediata con l’ascoltatore, con parole che raccontano in modo rivoluzionario un sentimento antico e sottile, la vergogna del deludere chi si ama, capaci di scuotere chi la ascolta fin da quando esce, nel 1965.


Facile immaginare che sia un testo scritto e rivolto da Tenco alla propria compagna: e invece la conversazione avviene tra Luigi e sua madre, è a lei che è rivolta questa disperazione composta, è lo sguardo materno che la sera lo osserva deluso rientrare in casa. Teresa guarda suo figlio – per cui desiderava un futuro sicuro e borghese – faticare nell’inseguire un sogno: «Io speravo sempre che riprendesse a studiare perché Luigi era molto bravo in tutto quello che faceva», dichiarò in quegli anni.
Le emozioni intense raccontano di un rapporto unico tra i due, con un primo movimento che racconta una madre dallo sguardo dolce, compassionevole con il suo bambino, che fallendo non incontra la critica feroce, ma una continua indulgenza, un continuo perdono. Un atteggiamento di protezione che nel secondo movimento scatena in lui una risposta inedita, perché l’amore che tutto scusa non fa che confermare la propria incapacità.


È con insofferenza che Luigi reagisce a un modello di relazione protettiva, incondizionata e senza conflitto, a un legame che non lascia spazio a discussione o critica, fatto della stessa tolleranza che si riserva a un bambino inconsapevole. Ma una fiducia che non si fa domande e non rimprovera è davvero fiducia? O è solo ripetizione assoluta e senza tempo di una madre che accudisce e di un figlio guasto? Daniele Silvestri ci tornerà, dicendo la sua in “Acqua Stagnante” (2011): «Senza nessuno che ti giudica/ nessuno intendo che ti sgrida e si preoccupa/ sarà senz’altro/ tutto molto più leggero/ però sicura che sia meglio per davvero?»

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E se la tenerezza è velenosa, si risponde con la rabbia: “guarda e riconosci il mio insuccesso, parliamone con schiettezza cruda”, chiede Luigi alla madre, con una rabbia che aiuta a desiderare e a promettere un cambiamento. «Vedrai, vedrai», canta Tenco, e scocca un verbo diretto a una persona, non a una folla degli scettici. Non c’è margine però per chi ascolta di capire che si tratta di una profezia.


«Mi fa disperare il pensiero di te, e di me che non so darti di più»: è un avvilimento profondo, che Luigi prova dovunque appoggi il pensiero. «Io non so», io non conosco: quello che agli altri uomini viene così facile, così bene, io non l’ho appreso e non conosco modo per imparare; ed è una voragine incolmabile quella tra quell’«Io non so» e “io non posso”, “impreparato proprio come un bambino guasto che dispera”.


Una dimensione intima quella dell’esperienza esistenziale di “Vedrai vedrai”, che risuona nelle contestazioni della generazione dell’autore, non perde potenza attraversandole e arriva intatta ad oggi: perché simile è la difficoltà ad affermarsi e la durezza dello scontro, perché ben conosciuto è il sapore metallico che sentiamo masticando quel «Sì, lo so che questa non è certo la vita/ che ho sognato un giorno per noi».


È l’interpretazione – con l’arrangiamento di Ezio Leoni – ad accentuare la sensazione di guardare un’immagine al rovescio, una sconfitta annunciata in ogni increspatura di quel dolore; «Non so dirti come e quando» rafforza il dubbio di assistere a uno scambio familiare avvenuto molte volte, in cui non è più sufficiente stupire annunciando il cambiamento.
L’incanto della poesia è costruito su questo piccolo miracolo: la prostrazione e l’avvilimento sarebbero insostenibili, se guardandoli ci accorgessimo di essere soli e atterriti, numeri primi. Ma uno spiraglio c’è, Tenco ci ha promesso un conforto, ripetuto a ogni ascolto: Vedrai, vedrai, «un bel giorno cambierà».