King Crimson – Islands (1971)

di F.G. Longo-

Se Lizard aveva incrementato la matrice jazz del gruppo, coi suoi cambi bruschi di ritmo e il sovrabbondare di dissonanze, Islands ne riprende lo spirito elevandolo ad una formula prettamente cameristica, diminuendone lo sperimentalismo sonoro e aumentando, invece, la compenetrazione e il miscuglio dei generi.

Formentera Lady è, in un certo senso, un esempio perfetto di questo binomio: da una parte ritroviamo il gusto per l’improvvisazione accostato ad una parziale demolizione del lato melodico, mentre dall’altra troviamo alcuni degli strumenti tipici del rock privati della loro componente elettronica, sostituiti invece da quelli della tradizione classica come flauti, ottoni e archi. Il brano in sé gode di un elaborato “esotismo” sonoro allontanandosi sufficientemente dall’idea di progressive comunemente accettata dai più, aderendo alla perfezione all’idea di viaggio trasmessa dalla nebulosa raffigurata in copertina. Sulla stessa scia continua Sailor’s Tale, una sorta di tramite tra ciò che era stato il “Re Cremisi” fino ad allora e ciò che si sarebbe apprestato a fare l’anno successivo con Lark’s Tongue in Aspic.

Il risultato è un ottimo brano di jazz-rock strumentale reso vivo dai toni caldi e concilianti, quasi sommessi, fautore di un suono poliedrico e sempre corposo anche nei momenti più sussurrati. Ma è con The Letters che la coralità dei generi si fa più ampia e si vanno ad abbracciare blues, rock e swing trascendendoli in un unico corpus fatto di una rigida e consapevole schizofrenia, rendendolo uno dei brani migliori di sempre, la cui unica pecca è quella di durare troppo poco. Non sorprende più di tanto, pur trattandosi di un altro ottimo brano, Ladies of the Road, che mostra invece un lato musicalmente meno impegnato (di vago richiamo beatlesiano) e particolarmente lontano dall’attitudine del gruppo.

Ci si riprende subito con Prelude che è, come il titolo suggerisce, il connubio perfetto tra la tradizione classicista, alla stregua del barocco, e il talento compositivo di Robert Fripp. Il risultato di questo andante è a dir poco eccezionale, nonché una risposta a tono (per l’epoca) a chi vedeva nella nuova generazione di musicisti una manica di fabbri dalla mano pesante senza arte né parte.


Come si era iniziato con Formentera Lady, così si finisce con la traccia omonima, vera e propria omega del brano d’apertura, tratteggiata da un’atmosfera malinconia e dilatata dal dialogo tra viola e sassofono, che lo rendono una sorta di summa massima di tutto ciò che i King Crimson si erano impegnati a fare fino al 1971.
Fonte: Povero Yorik