Janis Joplin; la nascita di una perla.

di F.G. Longo –
Ci sono voci che ti entrano dentro e non ne escono più. Janis Joplin l’ho sfiorata nei miei trascorsi in Radio. A Studio Smile la passavo ogni tanto sul piatto. Poi però chi è destinato a raggiungerti lo fa, c’è l’Universo che si adopera per questo è la Legge di attrazione. Janis Joplin suona costantemente a casa mia e in auto da oltre 6 anni, da quando la mia compagna ha insistito affinché ascoltassi meglio e con attenzione i suoi dischi.
Una vita a colori.
Come la sua Porsche, battuta all’asta circa 500 mila Dollari, janis è stata un battito d’ali perso tra le sfumature colorate della vita.
Una vita vissuta al massimo spingendo l’asticella oltre il limite, sempre più in alto, fino a sfiorare il cielo.
Ventisette anni che valgono quanto un secolo, quanto un’era glaciale capace di riscaldare il cuore, e di prendere a pugni l’anima facendo esplodere la mente come un fuoco d’artificio. Provate ad ascoltare una qualsiasi sua canzone le sere d’estate in riva al mare o in aperta campagna guardando il firmamento. Non solo brividi, ma anche e, soprattutto, le stelle ed i pianeti si allineano e disegnano cerchi concentrici nel cielo, color Perla.
Janis è inquieta, o forse è tranquillamente inquieta. E questa sua inquietudine tranquilla somiglia
Al Blues. Al graffio, sulla schiena
Al sapore amaro della schiavitù, la voglia di libertà degli afroamericani, New Orleans non poteva non conoscere Janis. Schiavi condannati a lavorare nelle piantagioni degli Stati Uniti meridionali. Ma il Blues è liberazione, è esplosione, rabbia, il cantico della libertà. E Janis incarna tutto questo.
Scopre di saper graffiare grazie alla sua voce abrasiva, al suo desiderio di rivalsa. Riscatta l’adolescenza, non molto felice.
Perché essere votata “uomo più brutto del campus” ai tempi dell’università, non fa piacere a nessuno.
Nemmeno a una ragazza che se ne frega di tutto, di tutti… di niente e nessuno.
Dal Texas alla California il passo è breve, brevissimo, leggera come una piuma, come il cielo pastello, ancora una volta tra le sfumature delle note colorate del Blues, dei tramonti texani, di quei tre giorni e di quelle tre notti di viaggio fino a Woodstock.
E allora Janis comincia a fare sul serio, a brandire il microfono come fosse una spada, Excalibur, e lei una Regina, più cazzuta di qualsiasi Re.
Persino di Artù.
Tuttavia la ragazzina inquieta torna a farsi sentire, a cercare rivalsa tra la sua gente ma i geni e i profeti non sono per gente comune, e non sono rispettabili in PATRIA.
Fino a tormentare la performer di successo. Perché lei, Janis Joplin, non è altro che una nullità, e per di più brutta. Cosi dice la gente del suo paese. La gente che l’ha vista crescere.
E allora i colori implodono su se stessi e si riducono a mere sfumature di grigio tenebra.
Di maldicenza, di invidia.
Mentre Janis, in cerca di carezze, di sorrisi, di accettazione e riscatto, comincia ad affondare in un mare contaminato dalla chimica, dall’alcol e dalla disperazione. Gli anni 60 e 70 del novecento, sono gli anni della rivoluzione, musicale, della libertà.
Oblio “in chiave” Blues.
Sorretto da una struttura ripetitiva di dodici battute aggrappate con le unghie e con i denti alle cosiddette “blue note”.
Perché indefinito, “storto”, leggermente in ritardo, è meglio che perfetto.
Janis cammina su una linea sottile. Su un pentagramma fragile che è tutto da scrivere.
Leonard Cohen, Kris Kristofferson, Country Joe McDonald, Jimi Hendrix. Tutti con un destino comune, tutti divenute leggende immortali. Tutti hanno un numero in comune: il 27. Tutti sono Storia.
Sono solo storie, di quelle che si consumano in un attimo, in un battito d’ali d’Angelo.
E poi c’è Peggy, la sua Peggy.
Nient’altro. La sua Perla. Il suo Amore.
Ecco come si sente Janis.
Una perla.
E più nulla.
Canta perché non può fare altro. Perché ha il dono Divino. E Dio l’ha donata al mondo, poi però, ha organizzato Woodstock in Paradiso e aveva bisogno di musica, di voci. E aveva bisogno di donare la vita Eterna. A Janis gliel’ha donata. E ha regalato al mondo Janis e il Blues.Janis Canta
E’ tutto ciò che vuole, tutto ciò che le riesce. E in mezzo a tanta gente Janis è sola. Più sola della solitudine.
Qualcuno sussurra un numero.
Ventisette. E sulla Roulette di Dio, il ventisette sbanca.
Janis non esiste più.
Anche se Janis esisterà per sempre.
Colori.
Miliardi di colori. Miliardi di sfumature. Una sera. Una stanza d’albergo. Un ago. Una siringa. Un altro mondo, un’altra realtà. Janis è sempre sola. Anche se c’è Pegghi.
E’ Janis, la nostra Janis che ci sussurra un addio dal sapore dolceamaro.
Il suo cuore, proprio qui, la sua voce, tra i solchi di un vecchio vinile, che scava dentro, che prende le corde più profonde delle emozioni e ti cambia i miti. La visione terrena e divina della vita.
Immensa. Eterna.